A volte preoccuparsi è fisiologico, altre volte le preoccupazioni continue vengono tenute sotto controllo, ma, quando diventano ingestibili, generano ansia, creando una pericolosa spirale.
Che si abbia ricevuto o meno una diagnosi di disturbo d’ansia, la tendenza a preoccuparsi troppo non fa mai bene a mente e corpo e lo dimostra anche una ricerca dell’European College of Neuropsychopharmacology (ECNP), che ha studiato il legame tra ansia e rischio di cancro.
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Le continue preoccupazioni rovinano la vita presente, prima ancora che la salute futura: ecco perché è importante trovare da subito il modo di placarle. Fortunatamente, riconoscere di avere un problema è già un primo passo verso la sua soluzione, che può essere trovata nei giusti atteggiamenti mentali e nella pratica di alcune discipline che possono rivelarsi benefiche per l’ansia e non solo.
Preoccuparsi troppo: le cause di una tendenza che può essere patologica
La società in cui viviamo ci mette di fronte a continue sfide e pone un obiettivo da raggiungere dopo l’altro. Preoccuparsi è normale in questa realtà, ma la tendenza a farlo in modo eccessivo non è solo frutto di questa società frenetica.
La preoccupazione cronica colpisce donne, uomini, anziani e giovani da sempre e si tratta di un problema che va identificato, compreso e, a volte, anche contestualizzato in una vera e propria diagnosi di disturbo d’ansia.
Quando preoccuparsi è normale e quando non lo è
La preoccupazione ha a che fare con la paura, e la paura, da sempre e in tutto il mondo animale, è un’emozione necessaria a percepire il nemico e ad attivare una risposta che, il più delle volte, è di fuga. Tutti noi ci preoccupiamo per qualche problema, ma occorre fare attenzione al fatto che la preoccupazione non diventi il problema stesso.
Diversamente dagli animali, infatti, noi umani non viviamo solo nel presente, ma tendiamo a riflettere sul passato e a immaginare il futuro. Questo ci porta a dare delle risposte non contestualizzate e non giustificate da situazioni reali.
Ad esempio, se siamo al verde, è normale preoccuparsi nel momento in cui si ha male a un dente, perché se il dolore non cessasse, saremmo costretti ad andare dal dentista la cui parcella potrebbe mettere in seria difficoltà le nostre finanze. Questo genere di preoccupazione, però, può spingere a trovare una soluzione per gestire o risolvere una criticità: ad esempio, di chiedere una dilazione della spesa o un prestito.
Le preoccupazioni patologiche, invece, sono quelle fini a se stesse, per cui la sensazione di paura si prova senza avere di fronte un problema da risolvere. Si tratta delle infinite catene di: “E se poi…?”, che, nell’esempio di prima, partono con molto anticipo rispetto al presentarsi del mal di denti.
Non siamo più animali che rispondono a un pericolo con la fuga, ma siamo esseri mentali ed emotivi. Questo può portare qualcuno ad anticipare mentalmente i pericoli, attivando la risposta dell’organismo attraverso una scarica adrenalinica che dovrebbe favorire la “fuga”. Quando la fuga non avviene, perché, di fatto, la minaccia non è presente, l’adrenalina si trasforma in ansia che alimenta altre preoccupazioni.
Le preoccupazioni patologiche, dunque, si distinguono da quelle fisiologiche per la presenza di un’effettiva minaccia o problema da risolvere. I figli, ad esempio, sono spesso causa di pensieri, ma occorre distinguere le situazioni di preoccupazione normali da quelle patologiche, tenendo ad esempio conto del fatto che:
- l’eccessiva preoccupazione per i figli va distinta da una preoccupazione contestualizzata riguardante, ad esempio, il loro effettivo scarso rendimento scolastico
- l’iperprotettività verso le persone care è ritenuta patologica rispetto alla tendenza a proteggere un figlio dal freddo quando ha l’influenza
- il bisogno di controllo continuo può essere patologico, mentre verificare che il proprio figlio smetta di frequentare cattive compagnie, a fronte di un episodio spiacevole, può essere normale.
Non solo il tipo di pensiero, ma anche la frequenza delle preoccupazioni aiuta a distinguere una situazione fisiologica da una patologica. A tutti può capitare di preoccuparsi per qualcosa di apparentemente assurdo, ma il problema nasce quando questo diventa un pensiero fisso, oppure si passa da un pensiero ansiogeno all’altro senza soluzione di continuità.
Preoccuparsi per tutto: perché succede?
“Sono sempre preoccupata per qualcosa, perché?” “Perché temo sempre il peggio?”
Chi si pone queste domande, ha già realizzato di avere un problema. Vediamo quali possono essere le cause.
A volte, preoccuparsi diventa un atteggiamento mentale che porta chi soffre di ansia ad attivare la preoccupazione come forma di difesa: in altre parole, per queste persone, inconsciamente, preoccuparsi per un evento improbabile è un po’ come farsi trovare preparati nel caso in cui esso si verificasse. Pensare alle catastrofi peggiori, dunque, per chi soffre di ansia, diventa un vero e proprio esercizio di controllo, che però ha delle conseguenze a volte peggiori dell’evento prefigurato.
Ci sono altri due motivi per cui le preoccupazioni croniche innescano una sorta di dipendenza mentale.
- Preoccuparsi permette di restare nella propria confort zone: ad esempio, se si ha paura che cambiare lavoro possa esporre al rischio essere vittima di mobbing, ci si sentirà legittimati a restare per sempre dove si è, perché ritenuto un posto sicuro e privo di rischi. Il prezzo da pagare? Fossilizzarsi e non avere mai occasioni di crescita!
- Le preoccupazioni eccessive illudono di alleviare l’ansia perché allontanano dal motivo iniziale che l’ha scatenata. Ad esempio, se ci si preoccupa perché non si hanno abbastanza soldi da parte e si finisce per immaginare di perdere la casa, non ci si ricorda nemmeno più cosa ha scatenato il susseguirsi di pensieri negativi, ma la verità è che l’ansia, alla fine, sarà molto più ingestibile.
Quando la preoccupazione cronica diventa una vera patologia
Preoccuparsi in continuazione per qualcosa, in modo ossessivo o saltando da una preoccupazione all’altra, genera ansia. L’ansia, come ben sappiamo, ha conseguenze negative sulla nostra salute:
- psicologica: alimentando sempre maggiori pensieri negativi
- fisica: con sintomi come sudorazione, aumento della frequenza cardiaca, tensione muscolare e insonnia.
A seconda del tipo di preoccupazioni da cui si è afflitti e dalle risposte finalizzate al loro controllo, le preoccupazioni eccessive possono rientrare in quadri patologici come il Disturbo d’Ansia Generalizzato o il Disturbo ossessivo compulsivo.
Come smettere di preoccuparsi e cominciare a vivere
Le continue preoccupazioni impediscono di vivere. Non solo: a volte, si è talmente concentrati sull’immaginare scenari catastrofici sul futuro che ci si sente dispensati dall’affrontare le sfide del presente, che, poi, sono le uniche che richiedono una soluzione.
Ecco perché è importante smettere di preoccuparsi eccessivamente, assumendo un atteggiamento mentale e praticando anche alcune discipline particolarmente indicate per imparare a focalizzarsi sul presente, lasciando poco spazio alle preoccupazioni smisurate sul futuro.
4 consigli per smettere di preoccuparsi
Chi soffre di preoccupazione cronica è abituato a sentirsi dire frasi come: “Ma di cosa ti preoccupi?”, “Vivi sereno”, “Pensa alla salute” ecc.. Di certo, però, chi non soffre di questo problema non potrà mai capire la sua complessità.
Nessuno si diverte ad avere sempre la testa impegnata in qualche preoccupazione o a vivere in una costante situazione di allerta. Tuttavia, ancor prima di parlare delle cure, che spesso sono legate ad una diagnosi di un disturbo d’ansia, si può provare a seguire alcuni consigli riguardanti l’atteggiamento mentale verso le preoccupazioni.
Si può, ad esempio, provare a:
- accettare le proprie preoccupazioni. Non significa accettare come inevitabili gli scenari catastrofici immaginati ma, al contrario, accogliere l’arrivo delle preoccupazioni, cercando di prendere le distanze dalle stesse e di esaminarle in modo critico. Se ci si rende conto che la propria tendenza a preoccuparsi costituisce un problema, allora è utile esaminare l’oggetto delle proprie preoccupazioni in modo critico, ad esempio chiedendosi quali probabilità ci siano che l’evento temuto si realizzi
- Gestire l’attenzione: questo è un esercizio molto importante da mettere in pratica quando arriva la preoccupazione. Dove va l’attenzione quando ci si preoccupa? Perde il controllo, passando da un pensiero negativo all’altro. L’attenzione va, invece, riportata nel qui ed ora
- Chiedersi cosa ci si stia perdendo: avere l’attenzione altrove impedisce di vivere il presente e, dunque, di gestire i problemi reali e di riuscire a godersi o a vedere le cose belle che capitano nel luogo o nel momento in cui si vive.
Ad esempio, chi soffre di preoccupazione cronica può arrivare in una spiaggia da sogno dall’altra parte del modo e, invece di godersi il meritato relax, cominciare a dubitare di aver chiuso la porta di casa, pensando, così, di essere svaligiato. Non è facile, ma realizzare che a causa di un pensiero remoto ci si sta rovinando una vacanza, può aiutare a prendere le distanze da quella preoccupazione. - Domandarsi se esiste una soluzione: la risposta a questa domanda, se le preoccupazioni non sono fisiologiche, è quasi sempre negativa. Torniamo all’esempio della spiaggia, del punto precedente: il fatto di essere dall’altra parte del mondo impedisce di tornare a casa a chiudere la porta e, dunque, è totalmente inutile preoccuparsi di quello che succederà, perché non si può fare nulla per evitarlo: ricordiamo che la paura è utile ad innescare una risposta ma in questo caso nessuna reazione è possibile. Qualcuno potrebbe decidere di chiedere al vicino di casa di andare a controllare ma, diciamoci la verità: in questi casi, smettere di preoccuparsi di aver chiuso la porta significa solo trovare un’altra preoccupazione su cui focalizzarsi.
Smettere di preoccuparsi con la mindfulness, tecniche di rilassamento e ayurveda
Le tecniche di rilassamento agiscono sull’ansia e calmano la mente, aiutando a smettere di preoccuparsi in modo ansioso. Le discipline che insegnano a rilassarsi sono moltissime, dallo Yoga alle arti marziali, fino al training autogeno, ma se si soffre di preoccupazione cronica, Mindfulness e Ayurveda sono particolarmente indicate.
La Mindfulness è una pratica sempre più diffusa perché, rispetto a discipline come lo Yoga classico, risulta molto compatibile con le abitudini occidentali. L’obiettivo della Mindfulness è proprio quello di riportare la mente al presente in modo che possa essere vissuto con piena consapevolezza.
Venti minuti al giorno di focalizzazione sul qui e ora aiutano davvero a distogliere l’attenzione dal passato e dal futuro, permettendo alla mente di concentrarsi sul presente, da molti considerato il miglior ansiolitico naturale!
Un articolo pubblicato nel 2014 su Mindfulness espone i risultati di due studi che provano come la consapevolezza allenata dalla pratica della Mindfulness possa funzionare come antidoto nei confronti delle conseguenze non costruttive delle preoccupazioni abituali.
Il controllo della mente è una delle tre fasi dell’Ayurveda, la più utile, dunque, per contenere le preoccupazioni ricorrenti. L’uso scorretto della mente, secondo questa disciplina, è il responsabile dei principali squilibri mentali. Con il termine Pratipaksha Bhavana, letteralmente “passare dall’atra parte del palazzo”, si intende la capacità di trasferire la propria attenzione e consapevolezza da un oggetto negativo ad uno positivo.
Questa capacità si traduce in una vera e propria tecnica da praticare in tre fasi.
- Diluizione: questa prima fase consiste nella capacità di distinguere i pensieri negativi e di impedire loro di proliferare nella mente. Prevenire l’arrivo delle preoccupazioni ingiustificate è impossibile, ma si può imparare a ritirare l’attenzione da esse
- Sostituzione: dopo aver riconosciuto un pensiero come negativo e aver identificato le emozioni che esso scatena, occorre visualizzare un’immagine opposta e, dunque, positiva. Ad esempio, se si è preoccupati per qualcosa, è consigliabile concentrarsi sul volto disteso di un grande saggio che non si preoccupa mai, convincendosi che quella sua capacità è presente in chiunque. Allo stesso modo, se si prova rabbia, ci si può concentrare su sentimenti di gioia e compassione.
- Sublimazione: in questa fase si lavora sulla sostituzione degli impulsi, proprio come avviene in psicoanalisi.
Grazie alla pratica del Pratipaksha Bhavana, le preoccupazioni non smetteranno di presentarsi, ma avranno un potere sempre minore sulla mente, e questo è solo uno dei modi con cui l’Ayurveda può aiutare a gestire l’ansia e a smettere di preoccuparsi eccessivamente.
L’antica disciplina indiana, infatti, prevede anche massaggi specifici e rimedi naturali che agiscono dando rilevanza alla persona e non alla malattia.
Un interessante articolo pubblicato nel 2017 su Journal of Traditional Medicine & Clinical Naturopathy esamina in modo dettagliato i risultati delle erbe ayurvediche sui disordini cerebrali che si traducono in malattie psichiatriche, come l’ansia, o organiche.